Il diritto di interpello
L’art.9 del decreto introduce, in materia di lavoro e previdenziale-assicurativa, il diritto di interpello da esercitare esclusivamente da parte di Enti pubblici, associazioni di categoria e ordini professionali su questioni di ordine generale circa l’applicazione della normativa.
Per quanto di competenza dell’Istituto, l’interpello dovrà riguardare materie strettamente previdenziali come, ad esempio, inquadramenti, imponibile contributivo ecc. e potrà essere inviato, solo in via telematica, alla Direzione Centrale Entrate Contributive, all’indirizzo di posta elettronica interpello.entratecontributive@inps.it di prossima istituzione, ovvero alle Sedi dell’Istituto che provvederanno a trasmetterlo alla predetta Direzione Centrale, che curerà l’istruttoria e il successivo inoltro alla Direzione Generale del Ministero.
Non potranno essere inoltrati, sotto forma di interpello, e quindi evasi, quesiti di carattere particolare o proposti da singole aziende, restando peraltro impregiudicata l’attività abitualmente svolta finalizzata a dare informazioni e chiarimenti a singole aziende o lavoratori.
Circa gli effetti che possono scaturire ad un eventuale adeguamento da parte del datore di lavoro agli indirizzi forniti a seguito di interpello si rinvia alle precisazioni fornite dalla circolare ministeriale.
Per quanto di interesse dell’Istituto, si fa presente che, ferme restando le conseguenze sul piano previdenziale, la valutazione del comportamento adesivo agli indirizzi forniti a seguito di interpello, produrrà, in analogia a quanto previsto dalla citata circolare in materia di sanzioni amministrative, la non applicazione di sanzioni civili e somme aggiuntive
6. 2. IL DIRITTO DI INTERPELLO
Con il diritto di interpello si vuole fornire ai datori di lavoro un’informazione più adeguata circa il corretto adempimento degli obblighi previsti dalla legge.
Esso consiste nella possibilità di inoltrare all’ente dei quesiti di carattere generale relativi all’applicazione della normativa in materia previdenziale.
L’ istituto era già noto al diritto tributario dalla cui disciplina si differenzia per alcuni aspetti.
Innanzitutto,la titolarità del diritto non spetta ai datori di lavoro,bensì alle associazioni di categoria e agli enti professionali i quali possono inoltrare il quesito o in via autonoma o a seguito di segnalazione dei propri iscritti.
Titolari del diritto possono essere anche gli enti pubblici.
In secondo luogo,il quesito da inoltrare non può avere per oggetto tematiche di carattere particolare,dovendo invece riguardare questioni di “ordine generale sull’applicazione della normativa in materia previdenziale” come,per esempio,l’inquadramento o la determinazione dell’imponibile.
Infine,a differenza di quanto avviene nel settore tributario –laddove è previsto un termine entro cui l’amministrazione deve rispondere,scaduto il quale opera una presunzione di assenso alla soluzione interpretativa prospettata dal soggetto interpellante- nel caso di specie la norma non fissa alcun termine per la persona,di guisa che non è possibile attribuire al silenzio dell’ente interpellato alcun significato o dallo stesso fare derivare degli effetti.
Quest’ultima differenziazione trova fondamento nel particolare contesto lavoristico in cui si inserisce l’istituto in argomento.
Infatti,mentre in materia tributaria chi pone il quesito normalmente è il solo coinvolto nella vicenda,nel settore del lavoro il quesito del datore di lavoro coinvolge,il più delle volte la posizione di un terzo.
I quesiti da proporre vanno inoltrati esclusivamente in via telematica alle sedi dell’ente interpellato che provvederà a trasmetterli alla direzione generale presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
L’art.9 tace in ordine agli effetti derivanti dalla condotta del datore di lavoro che si uniformi alla risposta fornita dalla direzione.
Con circolare n. 24 del 24 giugno 2004 il Ministero ha inteso colmare il vuoto normativo stabilendo che “fermi restando gli effetti civili fra le parti e le eventuali conseguenze sul piano previdenziale,nel caso in cui il datore di lavoro provveda ad adeguarsi a quanto forma oggetto della risposta all’interpello,tale comportamento adesivo va valutato ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo (colpa o dolo)nella commissione degli illeciti amministrativi (art.3 della legge n.689/1981) nonché dell’applicazione delle sanzioni civili”.
Da parte sua,l’Inps con la circolare n.132 del 20 settembre 2004 ha precisato che “la valutazione del comportamento adesivo agli indirizzi forniti a seguito di interpello,produrrà,in analogia a quanto previsto dalla citata circolare (cfr. quella del Ministero) in materia di sanzioni amministrative,la non applicazione di sanzioni civili e somme aggiuntive”.
La linea interpretativa adottata dall’Inps –automatica non applicazione delle sanzioni civili a seguito della condotta adesiva del datore di lavoro-suscita più di una perplessità.
In primo luogo,viene di fatto introdotta una nuova causa di estinzione (l’adesione alla risposta a seguito dell’interpello) dell’obbligazione accessoria senza che vi sia una norma di legge che la preveda.
Secondariamente,la tesi si pone in contrasto con i principi vigenti in materia previdenziale quali affermati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui le sanzioni civili costituiscono una conseguenza automatica dell’inadempimento e sono poste allo scopo di rafforzare l’obbligazione contributiva e risarcire in misura predeterminata dalla legge il danno cagionato all’istituto assicuratore.
Sul piano pratico,inoltre,quell’opzione potrebbe favorire un uso distorto dell’istituto “de quo”,il ricorso al quale potrebbe nascondere finalità meramente elusive tese ad evitare, per l’appunto, il pagamento delle sanzioni civili.
In considerazione dei suesposti rilievi,sarebbe stato più compatibile con il sistema vigente “premiare” il comportamento adesivo del datore di lavoro con l’applicazione del regime sanzionatorio più tenue,in genere previsto per le ipotesi in cui l’ omissione contributiva sia dipesa da oggettive incertezze connesse a contrastanti orientamenti giurisprudenziali o amministrativi.