Il Consiglio di Stato si esprime sul certificato di agibilità e sulla natura del silenzio assenso.
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Consiglio di Stato, Sez. II, sent. del 17 maggio 2021, n. 3836.
Il termine “agibilità” è stato utilizzato dal legislatore in accezioni diverse e non sempre coincidenti.; l’agibilità disciplinata dal d.P.R. n. 380 del 2001 non si identifica completamente con il “vecchio” certificato di abitabilità previsto dal Testo unico delle leggi sanitarie, in quanto presuppone una serie di valutazioni ulteriori; di ciò è prova nell’art. 26, d.P.R. n. 380 del 2001 che ancora oggi consente al Sindaco di intervenire dichiarando la inabitabilità di un immobile, già certificato come agibile, ai sensi dell’art. 222 del T.U.L.S.; altro è, infatti, la strutturale conformità del fabbricato a tutti i requisiti richiesti e, in parte, assorbiti nella conformità al titolo edilizio in forza del quale è stato realizzato, altro la sua (sopravvenuta) carenza di requisiti igienici tale da non consentirne l’occupazione a fini abitativi.
La illiceità dell’immobile sotto il profilo urbanistico-edilizio non può essere in alcun modo sanata dal conseguimento della sua agibilità, quand’anche formalmente sopravvenuto; la mancanza dei requisiti di regolarità dell’intervento non consente che possa decorrere il termine per la maturazione del silenzio assenso, identificandosi piuttosto l’istituto in una sorta di legittimazione ex lege ad utilizzare l’immobile in conformità con la sua destinazione d’uso, che prescinde dalla pronuncia della Pubblica amministrazione e che trova il suo fondamento nella effettiva sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge per il rilascio del titolo; ciò trova conferma nella sua attuale disciplina, contenuta nel d.lgs. 25 novembre 2016, n. 222, che ha sostituito il regime della s.c.i.a. a quello originario di silenzio assenso, includendo espressamente nella norma definitoria (art. 24) la «conformità dell’opera al progetto presentato» tra le cose che il tecnico deve asseverare all’atto della presentazione della dichiarazione, unitamente peraltro alla sua «agibilità»; pertanto non solo non è ipotizzabile il conseguimento di agibilità di un immobile in contrasto con la disciplina urbanistica, ma lo stesso non impedirebbe comunque l’attivazione dei doverosi poteri sanzionatori del Comune in relazione ai compiti di vigilanza sul territorio che gli sono attribuiti: quanto detto anche laddove la violazione si concretizzi nell’inadempienza ad una clausola di convenzione accessiva ad un piano attuativo in sanatoria, in ragione del convergere della stessa nel contenuto del titolo edilizio legittimante l’intervento.