In origine l’articolo era tutto il contrario della discriminazione, perché in latino Ille (da cui Il) prima di un nome proprio significava “quel famoso”. Dipende comunque molto dall’uso locale, p.e. in romanesco si dice normalente Er Franco.
Spadolini in "Gli uomini che fecero l’Italia " incluse varie donne. Il latino homo e il tedesco Mensch si riferiscono alla specie umana, mentre vir e Mann al maschio. A Bisanzio Irene si fece chiamare imperatore (basileus) e non imperatrice (basilissa) perché regnava in proprio e non come consorte. Forse si potrebbe dire “ambasciatrice consorte” ora che pure le donne fanno carriera diplomatica. D’altra parte “guardia” e “guida” sono grammaticalmente femminili ma spesso designano pure maschi. Perché non diciamo scimmia e scimmio?
SI deve invece evitare una spartizione arbitraria di genere tra le attività perfino in astratto, p.e. dicendo “Dipingo da solo per non pagare un imbianchino” ma “Pulisco da solo per non pagare una domestica”.
La presunta parità di genere nel linguaggio non esclude la lotta alle discriminazioni più concrete, ma può distrarne facendo credere di essere a posto cambiando le etichette.
Brecht in “Le teste tonde e le teste a punta” mostra che la sovrastruttura di distinzione etnica pretestuosa copre la struttura della disparità di classe. Per quanto non di genere, le botte di Naomi alla colf sono comunque violenza.