Esercizio pubblico che "vende" ad altre attività

un esercizio pubblico (pizzeria) mi chiede che pratica debba eventualmente presentare nel caso in cui voglia vendere tranci di pizza a bar o altre attività che poi li rivenderanno ai loro clienti.
Premesso che come esercizio pubblico può effettuare vendita da asporto ai suoi clienti, mi chiedo se invece per il tipo di attività di cui sopra debba attivare anche un commercio all’ingrosso.
Grazie

E’ sempre stato un caso dubbio. Per commercio all’ingrosso si intende un acquisto di un prodotto ai fini della rivendita. Il prodotto resta quello durante il passaggio. Quando, invece, un azienda produce un bene da materie prime e poi lo cede esegue una vendita diretta artigianale o industriale a seconda dei casi (libera da adempimenti diretti - a parte aggiornamento notifica sanitaria e simili)

Nel caso che citi, a parere mio, si può applicare anche la seconda chiave di lettura. Tiene a mente, poi, che molte leggi regionali riportato l’assunto per il quale “gli esercizi di somministrazione hanno facoltà di vendere per asporto i prodotti che somministrano, senza necessità di ulteriori titoli abilitativi”.

Io, se la CCIAA è d’accordo, non procederei con altro titolo

Effettivamente alla richiesta dello stesso utente di poter vendere per asporto i prodotti che somministrano (vedi in questo caso soprattutto pizza) non ho avuto dubbi sul fatto che fosse possibile, ma il dubbio mi è venuto quando nella seconda richiesta che mi ha posto la parte acquirente non era più un consumatore finale ma un altro commerciante.
Potrei quindi a questo punto fargli aggiornare la notifica sanitaria.
A livello Camera di Commercio possono esserci altri tipi di adempimenti o problemi ? Come ad esempio la necessità di aggiungere/modificare il codice Ateco?
Grazie

Sulla CCIAA non saprei con sicurezza ma il problema esula dalla competenza SUAP. E’ probabile che sia una notizia rilevante che presuppone una seconda attività come meramente accessoria.
Precedere con l’aggiornamento della notifica sanitaria e (ma questo non riguarda il SUAP) con l’aggiornamento del piano di autocontrollo

La possibilità di vendita per asporto da parte degli esercizi di somministrazione è prevista dall’art. 5, comma 4, della legge 287/1991 (le successive leggi regionali hanno di fatto solo ripreso questa disposizione) e la suddetta norma specifica che la vendita per asporto è sottoposta alle stesse norme osservate negli esercizi di vendita al minuto. Quindi, se una delle peculiarità della vendita al minuto (o vendita al dettaglio) è la vendita diretta al consumatore finale, direi che sotto il mero profilo formale l’attività prevista nel caso in esame non potrebbe rientrare nel concetto di “vendita per asporto”.

Ciò non vuol dire che se non può essere “vendita per asporto” debba per forza diventare “commercio all’ingrosso”; anzi, escludo questa possibilità.

Semplicemente dovrebbe entrare nella categoria delle aziende manifatturiere, con quello che ne consegue anche a livello amministrativo e di CCIAA.

Ovviamente, però, occorre anche affrontare la questione da un punto di vista di buon senso…: un conto è se la pizzeria in questione utilizza il suo forno per cuocere – tra una pizza e l’altra destinata ai normali clienti anche per asporto – anche qualche pizza che sarà presa da un fattorino e portata al bar dell’angolo che la taglierà e la venderà ai suoi clienti; un altro se la pizzeria in questione organizzerà una vera e propria linea produttiva per la produzione di pizze e focacce destinate alla vendita ad altri operatori del commercio o della somministrazione.

Come spesso succede, è solo di fronte al caso concreto che si può dare una risposta precisa.