Fine delle STABILIZZAZIONI (in particolare dirette) ex legge Madia?

propaganda sindacale (quindi “di parte”) ma attorno a una verità evidente a tutti…

Aggiornamento con links ai miei contributi più recenti:

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PRESENTAZIONE CON IL DOTT.CHIARELLI

APPROFONDIMENTO DELLA PARTE SU STATISTICHE/STORIA NORMATIVA

Si fa risalire la storia recente delle stabilizzazioni alla Finanziaria per il 2007 (legge 296/2006) ma le premesse è bene ricordare che risalgono esattamente a un anno prima.
Si tratta infatti della Finanziaria per il 2006 (legge 266/2005) all’articolo 1
-comma 187:
A decorrere dall’anno 2006 le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le

agenzie, incluse le Agenzie fiscali di cui agli articoli 62, 63 e 64 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.

300, e successive modificazioni, gli enti pubblici non economici, gli enti di ricerca, le università e gli enti

pubblici di cui all’articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive

modificazioni, possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con

contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 60 per cento della spesa sostenuta

per le stesse finalità nell’anno 2003. Per il comparto scuola e per quello delle istituzioni di alta

formazione e specializzazione artistica e musicale trovano applicazione le specifiche disposizioni di

settore. Il mancato rispetto dei limiti di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e

determina responsabilità erariale
-comma 188:
Per gli enti di ricerca, l’Istituto superiore di sanità (ISS), l’Istituto superiore per la prevenzione e la

sicurezza del lavoro (ISPESL), l’Agenzia per i servizi sanitari regionali (ASSR), l’Agenzia italiana del

farmaco (AIFA), l’Agenzia spaziale italiana (ASI), l’Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente

(ENEA), il Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA), nonché per le

università e le scuole superiori ad ordinamento speciale e per gli istituti zooprofilattici sperimentali, sono

fatte comunque salve le assunzioni a tempo determinato e la stipula di contratti di collaborazione

coordinata e continuativa per l’attuazione di progetti di ricerca e di innovazione tecnologica ovvero di

progetti finalizzati al miglioramento di servizi anche didattici per gli studenti, i cui oneri non risultino a

carico dei bilanci di funzionamento degli enti o del Fondo di finanziamento degli enti o del Fondo di

finanziamento ordinario delle università.

Disposizione speciale è poi al comma 596:

Per l’anno 2006 i contratti di collaborazione coordinata e continuativa stipulati nell’anno 2005

dal Ministero per i beni e le attività culturali, ai sensi dell’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 28

febbraio 2000, n. 81, sono trasformati in rapporto di lavoro a tempo determinato nel limite massimo

di 95 unità

Per una analisi storica delle 2 disposizioni aventi ad oggetto il contratto a tempo determinato:

In particolare, di tale percorso, si sottolineano le parentesi di limitazione dell’utilizzo del tempo determinato: tra il 1994 e 1998, durante la vigenza del d.lgs. 29/1993 e, di nuovo, sotto il TUPI, secondo quanto descritto nel volume “Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, a cura di A.Perulli e L.Fiorillo,Giappichelli 2015 (Normattiva riporta però come periodo quello dal 1-1-2008 al 24-06-2008)

La nuova legge di conversione del d. l. 25/2025, che a giorni sarà approvata, dopo la Camera, al Senato nel medesimo testo (con posizione della fiducia),al netto delle stabilizzazioni speciali là previste, all’art. 8 comma 3-ter estende la possibilità di stabilizzazione ex l.74/2023 alle Unioni di Comuni.
Inoltre le PA, nell’ambito delle stabilizzazioni di cui all’articolo 35, comma 3 bis, del d.lgs. 165/2001, possono riservare fino al 10% alle assunzioni dei disabili (cosa prevista anche per i concorsi RIPAM).
Non direttamente infine di stabilizzazione si può parlare, ma pur sempre di valorizzazione di un percorso almeno triennale dei dipendenti precari in sede di concorso, in ciò che prevede il comma 9-undecies dell’articolo 4 del d.l., come modificato in sede di conversione.

schema STABILIZZAZIONI GENERALI E SPECIALI (ad oggi):
STABILIZZAZIONI SCHEMA GENERALI E SPECIALI.pdf (519,1 KB)

separati alla nascita…
ovvero la mera manovalanza degli interinali nella Pa (esclusi da ogni stabilizzazione)

nel numero appena uscito de “Il Giornale di Diritto Amministrativo” W&K (articolo “Le novità in tema di enti locali” di A.VILLA) vengono, tra l’altro, messe nero su bianco alcune affermazioni chiave per comprendere lo stato delle stabilizzazioni attuali (dopo il decreto PA 2025 e la sua conversione in legge 69/2025):
“Il percorso di stabilizzazione da “eventuale” e legato a situazioni contingenti diventa ricorrente ed interessa il datore di lavoro pubblico e lo stesso lavoratore che può ragionevolmente contare sulla stabilizzazione che, in questa prospettiva, finisce per affiancare le procedure ordinarie di reclutamento a tempo indeterminato che si caratterizzano per un percorso selettivo, alquanto differente.
Le procedure di stabilizzazione sfuggono i passaggi tipici del concorso ordinario e alle stesse negli anni si è ricorso per controbilanciare il frequente ricorso a provvedimenti di blocco delle assunzioni. Situazione che non connota, tuttavia, l’attuale periodo storico, caratterizzato, semmai, da numerose “tornate concorsuali”.
In analogia a quanto avvenuto in passato, il processo di stabilizzazione risponde al bisogno di trovare un punto di incontro tra l’aspettativa alla stabilità di chi ha maturato esperienza in specifici ambiti e la possibilità per le Amministrazioni di avvalersene, evitando allo stesso tempo, possibili contenziosi. Di fatto, l’attuale D.L. n. 25/2025 conferma il “modello” della stabilizzazione che riguarda un numero consistente di persone con elevate professionalità di ordine tecnico, economico, gestionale, chiamate a svolgere un ruolo essenziale nella realizzazione delle principali politiche pubbliche. La stabilizzazione non è più una procedura derogatoria una tantum ma, nei fatti, un modello di reclutamento che affianca le procedure concorsuali ordinarie.”

“Il D.L. n. 25/2025 conferma ulteriormente il percorso di dequotazione del modello costituzionale del concorso pubblico, cui si è assistito negli ultimi venti anni (*).”

  • vedasi su ciò: B. Cimino, Il completamento del percorso di dequotazione del pubblico concorso, in GDA, 2022, 1

mentre si moltiplicano le manifestazioni dei precari (in particolare del settore Giustizia, ma non solo) alimentate da preoccupazione in vista della scadenza del 2026 per i progetti di PNRR, esce oggi un comunicato della FP CGIL del quale merita evidenziare questo passaggio:
“Nessuna soluzione, inoltre, per gli oltre 12.000 precari della giustizia e per tutte le altre precarie e precari della PA, avendo questo Governo fatto decadere la norma prevista dal dlgs 75/2017 che ne permetteva le stabilizzazioni e non avendole finanziate…"

CONFUTAZIONE ACCESSO ESCLUSIVO ALLA PA PER CONCORSO E CONTRATTO A TERMINE COME RAPPORTO CHE PREVEDE UNA CONCLUSIONE IN SE’ – DIFESA DEL MECCANISMO
DELLE STABILIZZAZIONI E ANALISI DEI CASI (PUNTUALI E NON GENERICI) DI CONTESTAZIONE
DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE

Come noto, coloro che ribadiscono che il concorso è la sola via di
accesso al pubblico impiego se la prendono, anzitutto, non fosse altro per l’attualità del tema,
con le stabilizzazioni dei precari.
Ma allora perché non si chiedono se mai le stabilizzazioni sono state portate davanti
alla Corte Costituzionale?
Se si va a vedere, questo è successo, più volte, ma mai per contestare in radice il
meccanismo delle stesse in sé, bensì per censurare aspetti se vogliamo secondari o
perlomeno puntuali…
Rispetto alla stabilizzazione disposta dalla Legge finanziaria 2007 (L. 296/2006, art. 1, c.
519), la questione di costituzionalità (riguardante pretesi vantaggi degli idonei non
vincitori di concorso stabilizzati rispetto ai vincitori) fu sollevata dal Consiglio di Stato:
la Corte ha dichiarato la manifesta inammissibilità (ord. n. 70/2009, 13 marzo 2009).
Venendo alla “Riforma Madia” (D.Lgs. 75/2017, art. 20), la contestazione riguardava il
comma 9 (esclusione dei somministrati dalla stabilizzazione diretta): la Corte ha
dichiarato non fondata la questione; sul comma 2 (procedure riservate) la questione è
stata dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza (sent. n. 250/2021, dep. 21
dicembre 2021).
Ulteriore rinvio c’è stato sugli stessi commi 2 e 9: la Corte ha dichiarato la manifesta
inammissibilità (ord. n. 95/2023, 12 maggio 2023).
Il motivo reale per cui non si è contestato in toto il meccanismo della stabilizzazione è
che in realtà esso non contraddice affatto il principio per cui alla PA si accede per
concorso. Ne è invece un corollario.
Non si può non notare, infatti, la contraddizione di chi invoca, come un dogma, il
principio per cui “si accede alla PA solo per concorso”.
È un principio certamente vero — e proprio per questo le stesse modalità di
stabilizzazione, che a prima vista potrebbero apparire in contrasto con esso, sono state
invece disegnate dal legislatore in modo da rispettarlo:
nelle forme più recenti, infatti, la stabilizzazione se diretta presuppone un precedente
contratto a tempo determinato derivante da selezione concorsuale, mentre la
stabilizzazione indiretta (per chi proviene da forme flessibili di lavoro) richiede
comunque il superamento di un concorso riservato.
È talmente vero, il principio ricordato che l’accesso al pubblico impiego deve avvenire
per concorso, che la legge continua a vietare la conversione automatica dei contratti a
termine in rapporti a tempo indeterminato, anche in presenza di reiterazioni illegittime
— proprio in omaggio al disposto dell’art. 97 Cost.
La stabilizzazione “speciale” prevista negli ultimi anni per i precari del PNRR, poi, tra cui
gli UPP contestati adesso, si inserisce perfettamente in questa logica: dopo un
reclutamento iniziale mediante selezione pubblica a tempo determinato, essa richiede
un giudizio positivo del responsabile sull’attività svolta e un colloquio selettivo finale.
Non si tratta, dunque, di una stabilizzazione automatica né di una sanatoria, ma di un
percorso di consolidamento professionale che resta coerente con i principi
costituzionali e con le garanzie di merito e imparzialità proprie dell’accesso pubblico.
Altro motivo di contestazione si può riassumere nelle parole: “nel momento in cui si
partecipa a un concorso che prevede un’assunzione a tempo determinato, si è
pienamente consapevoli che il contratto avrà una scadenza”.
Su questo non c’è dubbio.
Ma una cosa è riconoscere la natura a termine del rapporto (tra lavoratore e suo datore
di lavoro pubblico), altra è sostenere che il suddetto datore di lavoro debba ignorare
eventuali norme — nazionali o regionali — che prevedano la possibilità di
stabilizzazioni.
Se il legislatore, valutando esigenze organizzative e di continuità amministrativa,
introduce procedure di stabilizzazione, l’amministrazione non solo può, ma in molti casi
deve prenderle in considerazione, sempre che ne ricorrano i presupposti giuridici e
finanziari.
Nel caso attuale del Ministero della Giustizia, poi, le stabilizzazioni oggi contestate (in
frizione rispetto alle posizioni dei candidati del concorso a TI per 2970 posti di prossima
espletazione) non sono iniziative estemporanee, bensì percorsi sindacalizzati, condivisi
quindi con le principali sigle sindacali e approdati a una previsione espressa nella Legge
di Bilancio 2025.
Ha quindi poco senso fermarsi all’affermazione, pur corretta ma parziale, secondo cui
“il contratto era a termine”: ciò non esclude, anzi può legittimare, un successivo
percorso di consolidamento previsto dalla legge e coerente con il principio
costituzionale del buon andamento

Segnalo, sul nostro tema, una pubblicazione recente di interesse.
Il saggio di Alessandro Garilli – “La flessibilità insostenibile: il costo della precarietà nelle pubbliche amministrazioni” (in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, Giappichelli, 2/2025), che sarà presto raccolto in autonoma e più ampia pubblicazione W&K-Cedam.
Esso ha per tesi centrale che il contratto a tempo determinato è il paradigma della flessibilità lavorativa nella PA, ma la sua applicazione è divenuta insostenibile perché ha generato un precariato strutturale, contrario ai principi costituzionali e al diritto UE.
La flessibilità, in questo modo, anziché strumento organizzativo, è divenuta una pratica distorta e illegittima, incentivata dall’aspettativa di stabilizzazione.
Garilli fa una precisa ricostruzione storica del contratto e termine e flessibile nel settore pubblico.
Dalla rigidità del regime pubblicistico al processo di privatizzazione (1993-2017), si è tentato di avvicinare il lavoro pubblico a quello privato, mantenendo però il divieto di conversione dei contratti a termine.
Le riforme del 2006-2007 hanno introdotto la prima grande stabilizzazione, seguite da ulteriori interventi (D.Lgs. 75/2017, art. 20).
La disciplina dell’art. 36 D.Lgs. 165/2001 è stata modificata più volte, ampliando progressivamente le possibilità di assunzione a termine, fino alle deroghe PNRR.
L’uso improprio dei contratti flessibili (per esigenze ordinarie) è stato sistematico.
Il rimedio del semplice risarcimento per abuso è stato ritenuto inefficace e non dissuasivo.
La disparità di trattamento rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato rimane comunque diffusa.

Storicamente parlando, a partire dal settore scuola (sentenza Mascolo, Corte Giust. UE 2014), la stabilizzazione è stata utilizzata come misura alternativa al risarcimento per sanare l’abuso di contratti a termine.
Il D.Lgs. 75/2017 (art. 20) e le proroghe successive hanno esteso il modello a tutte le PA.
Tuttavia, la Corte di Giustizia e la Cassazione ritengono che solo la stabilizzazione certa o quasi certa (non solo “concorsuale”) possa avere efficacia sanante.
Le assunzioni semplificate e temporanee per il PNRR poi hanno creato una nuova ondata di precariato.
Le successive previsioni di stabilizzazione (Ministero Giustizia, Sanità, enti locali) riproducono lo schema di abuso seguito da regolarizzazione.

Si parla di “istituzionalizzazione del precariato” e di “dequotazione del pubblico concorso”.

Dal 2019 la Commissione UE ha avviato un procedimento contro l’Italia per violazione delle clausole 4 e 5 della Direttiva 1999/70/CE.
Nel 2024 essa ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia, segnalando che i rimedi adottati (stabilizzazioni parziali, risarcimenti modesti) non eliminano l’abuso sistemico.

Le conclusioni dell’autore sono nel senso che:

  • Il sistema attuale è intrinsecamente contraddittorio: si legittima l’uso del lavoro flessibile per coprire fabbisogni ordinari e poi si tenta di rimediare con stabilizzazioni periodiche.
  • Ciò comporta un costo economico e sociale elevato e mina la credibilità dell’intero modello di reclutamento pubblico.
  • La flessibilità così concepita è dunque “insostenibile”, sia giuridicamente che funzionalmente.

In tutto ciò, le stabilizzazioni hanno assunto un ruolo centrale nel sistema.
Sono al tempo stesso causa ed effetto della precarietà.
Sono il rimedio surrogato alla mancata conversione dei contratti a tempo indeterminato: utili per sanare l’abuso, ma anche indice del suo perpetuarsi.
Generano nuove distorsioni, perché trasformano l’eccezione (il reclutamento speciale) in regola, minando il principio del concorso pubblico e creando cicli di “precariato–stabilizzazione–nuovo precariato”.
Si può ritenere, alla luce di quanto detto, che Garilli pur non essendo contrario alle stabilizzazioni come misura di giustizia e riparazione individuale, le considera tuttavia sintomo e prova appunto della “flessibilità insostenibile”: servono a rimediare a un sistema che continua a produrre patologicamente precariato invece di eliminarlo.
L’autore a tal proposito invoca una riforma strutturale che limiti rigorosamente il ricorso al lavoro flessibile, garantendo selezioni trasparenti, parità di trattamento e tutela effettiva dei diritti maturati.