La veranda abusiva non sanata rende illeciti gli interventi successivi

Consiglio di Stato: in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori ripetono le caratteristiche d’illiceità dell’opera abusiva cui ineriscono strutturalmente

I lavori edilizi conseguenti e collegati a un vano verandato abusivo e non condonato/sanato (veranda in alluminio e vetri a chiusura di un balcone a livello dell’immobile per una superficie di mq 5.25) possono essere realizzati e assentiti con SCIA oppure sono abusivi a loro volta?

Ne ha trattato il Consiglio di Stato nella sentenza 2171/2022 dello scorso 25 marzo, che ‘nasce’ da una domanda di condono - rigettata sia dal comune che dal TAR- presentata ai sensi dell’art. 32 del DL 269/03 (L. n. 326/03) ma mai evasa.

Il vano verandato realizzato, abusivo e non condonato era stato interessato da successive opere edilizie e, con l’ordinanza di demolizione impugnata in primo grado, il comune ha contestato l’esecuzione, senza il prescritto permesso di costruire, di opere consistenti nella “demolizione della muratura di tompagno di un vano verandato, ubicato sul balcone, di m. 4,30x1,50x2,90 di altezza e traslazione della stessa al filo esterno del fabbricato; tramezzo intersecante lo sporto delimitante due diversi ambienti”.

La diversa distribuzione interna

Il tecnico di parte afferma che la differenza sostanziale tra la situazione attuale rispetto a quella pregressa consiste, fermo restando il posizionamento della veranda esterna, in una diversa distribuzione interna, per cui la camera da letto ed i WC hanno mutato conformazione planimetrica dovuta alla eliminazione di un piccolo tratto di muro parallelo alla veranda - pari a circa 1/3 dell’intero fronte - ed alla realizzazione di un tramezzo divisorio tra i due ambienti sopraindicati, posto in posizione perpendicolare alla veranda stessa.

In tale relazione viene pure precisato che non sarebbero state eseguite opere strutturali di alcun tipo, nonché che già all’epoca - anni '70/'80 - la stanza interna incorporava l’ex balcone verandato, con pavimento unico: difatti, “la veranda esterna è rimasta tale essendo stata solo sostituita dal tipo di veranda in alluminio preverniciato ossicolorato, come da moderna tecnologia, ed esattamente di colore bianco sul prospetto esterno e antracite all’interno, e ciò nell’ambito delle opere di manutenzione straordinarie interne eseguite nel 2004 dopo l’acquisto della casa da parte del sig. … Il vano della attuale camera da letto, come documentato precedentemente, era già pressoché conformato come ambiente unico. Unica variazione - interna - è la diversa conformazione del WC tramite la realizzazione di un tramezzo perpendicolare alla veranda”.

Gli interventi conseguenti all’abuso non sanati ne condonati sono abusivi a loro volta

L’abuso edilizio, per il quale era stata chiesta la sanatoria ai sensi dell’art. 32 DL 269/03, riguardava appunto la realizzazione di una veranda in alluminio e vetri a chiusura di un balcone a livello dell’immobile per una superficie di mq 5.25.

Ma successivamente il proprietario eseguiva un ulteriore intervento edilizio, provvedendo alla sostituzione della veranda (con la realizzazione di una veranda dal tipo in alluminio preverniciato ossicolorato), all’eliminazione di un tratto di muro parallelo alla veranda e a una diversa distribuzione degli spazi relativi alla superficie verandata.

L’ordinanza di demolizione riguarda sia la demolizione della muratura di tompagno del vano verandato, ubicato sul balcone, di m. 4,30x1,50x2,90 di altezza, e la traslazione della stessa al filo esterno del fabbricato; sia la realizzazione di un tramezzo intersecante lo sporto delimitante due diversi ambienti.

Alla luce di tali rilievi, quindi, risulta che il proprietario ha eseguito ulteriori opere edilizie in relazione ad una porzione immobiliare (veranda) al tempo abusiva perché non ancora condonata.

In questi casi evidenzia Palazzo Spada, deve trovare applicazione il principio di diritto per cui, “in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (pur se riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, della ristrutturazione o della costruzione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le caratteristiche d’illiceità dell’opera abusiva cui ineriscono strutturalmente, giacché la presentazione della domanda di condono non autorizza l’interessato a completare ad libitum e men che mai a trasformare o ampliare i manufatti oggetto di siffatta richiesta, stante la permanenza dell’illecito fino alla sanatoria; - da ciò discende appunto l’impossibilità della prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento d’eventuali sanatorie, sono e restano comunque illecite, donde l’obbligo del Comune di ordinarne (come nella specie) la demolizione, tranne che tal prosecuzione avvenga nel rispetto delle procedure poste dall’art. 35 della L. 28 febbraio 1985, n. 47, ancora applicabile grazie ai rinvii operati dalla successiva legislazione condonistica e che, a queste condizioni, non esclude la definizione del condono (cfr., per tutti, Cons. St., VI, 14 agosto 2015 n. 3943; id., II, 5 dicembre 2019 n. 8314)” (Consiglio di Stato, sez. VI, 10 giugno 2021, n. 4473).

Quindi: a fronte di un vano verandato abusivo perché non ancora condonato, la parte privata avrebbe dovuto attendere l’esito del procedimento di condono, non potendo eseguire ulteriori opere in relazione alla medesima porzione immobiliare: tali ulteriori opere, nei fatti realizzate e oggetto del provvedimento impugnato in primo grado, ripetendo le caratteristiche di illiceità dell’abuso originario cui strutturalmente inerivano, risultavano parimenti abusive e, come tali, ben potevano essere soggette a sanzione ripristinatoria, come legittimamente disposto dall’Amministrazione comunale con l’ordine di demolizione per cui è causa.

Interventi conformi: serve il titolo edilizio e anche l’afferenza a immobili non abusivi

Affinché gli interventi edilizi declinati dall’art. 3 del dpr 380/2001 possano essere lecitamente realizzati, occorre, infatti, non soltanto il possesso della relativa concessione edilizia, ma anche la loro afferenza ad immobili non abusivi, tenuto conto che altrimenti, come rilevato, le opere aggiuntive parteciperebbero comunque delle stesse caratteristiche di abusività dell’opera principale.

Questa ultima condizione (liceità dell’immobile o della porzione immobiliare oggetto del successivo intervento edilizio) nella specie non ricorreva, con conseguente abusività degli ulteriori interventi edilizi eseguiti, a prescindere dalla loro qualificazione.

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