LOMBARDIA pizzeria asporto e ampliamento per consumo sul posto

una ditta commerciale in CCIAA (non artigianale perché avendo chiesto mq. 2 di commercio fisso alimentare e non avendo i requisiti per settore alimentare, ha dovuto delegare un’altra persona perdendo il requisito di artigianale - così mi ha spiegato la CCIAA) che ha pizzeria asporto senza consumo sul posto + 2 mq di commercio fisso ora vuole aggiungere il consumo sul posto, comunque SENZA SERVIZIO come è di legge, ampliando i locali.

Dato che è anche commerciale e non artigianale:

  1. il suap deve richiedere il passaggio da commerciale ad artigianale - requisito principale per avere consumo sul posto?
  • ora potrebbe avere il requisito professionale per settore alimentare dato che sono trascorsi 2 anni di attività nel settore alimentare - pizzeria asporto?
  1. c’è difficoltà a ricavare una porta che colleghi il locale della pizzeria asporto con il nuovo locale per effettuare l’ampliamento.
  • è ammissibile il passaggio degli avventori dal primo locale dove pagano e ritirano la merce al secondo locale tramite marciapiede? (devono uscire dal 1° locale e entrare nel 2° non comunicante).

  • è ammissibile la comunicazione tra i due locali con una finestra in cui vi è il passaggio della merce?

  • o “è vietato usufruire spazi diversi da quelli di produzione o ad essi adiacenti”? (ma lo fanno tutti però…)

  • per aggiungere il consumo sul posto basta far compilare l’apposito modulo (ART. 2 C.4 lr 8/2009) e trasmetterlo all’ATS o vi sono altre incombenze?

ringraziando, si porgono cordiali saluti

Non è che la ricostruzione della CCIAA mi torni un granché. L’impresa artigiana resta tale in funzione alla prevalenza dell’attività svolta. Il caso classico è il panificio che ha anche il frigo delle bibite. Se per vendere le bibite è stato nominato un preposto, non vedo perché debba far perdere la qualifica. Vabbè… non so i dettagli. Magari la CCIAA afferma che se sono in ballo dei requisiti professionali questi devono essere posseduti dal titolare o dai soci partecipanti al lavoro. Tuttavia, in questo caso, i requisiti servono per la parte non artigianale.

E’ una domanda cavillosa. Nel dubbio, io sono dalla parte dell’impresa. Quello che conta ai fini della destinazione d’uso è la verifica sull’attività da un punto di vista sostanziale e non il formalismo dell’iscrizione in CCIAA. L’iscrizione come impresa artigiana non è un fatto obbligatorio. Pensa a un centro benessere che svolte attività di estetica ma che non è iscritto in CCIAA come artigiano (ipotesi possibilissima). Nel tuo caso è la stessa cosa: io guarderei l’attività prevalente in termini sostanziali.

Certo. Le risoluzioni del MiSE hanno da sempre messo in luce che l’esperienza lavorativa valida è quella (come dice la legge) relativa all’IMPRESA NEL SETTORE ALIMENTARE. L’indicazione è generica e comprende tutto, vedi qua: https://www.mise.gov.it/images/stories/impresa/consumatori/pratichecommerciali236038.pdf

Anche in questo caso bisogna vedere i dettagli. Se il secondo locale non ha autonomia funzionale può essere considerato un mero accessorio e, quindi, nel suo insieme, un’unica unica locale. Pensa al dehors del ristorante che magari è posizionato a su area pubblica a qualche metro di distanza dall’ingresso. Ripeto, però, che qua siamo nella discrezionalità comunale che giudica in base ai dettagli.

Astrattamente sì. Un tecnico di fiducia potrà verificare la effettiva realizzabilità edilizia

sarebbe comunque adiacente in un’accezione ragionevole. Poi, se non è più impresa artigiana il problema viene meno.

Se applichi la lr 8/2009 allora è un’attività artigianale. Anche tu lo dai per scontato. Sui particolari della modulistica lascio rispondere i colleghi lombardi

Anche a me pare molto strana la valutazione della CCIAA.

In ogni caso, perché il SUAP dovrebbe richiedere il passaggio da commerciale ad artigianale per consentire il consumo sul posto?

Il consumo sul posto è consentito anche negli esercizi di vicinato: la norma di riferimento è l’art. 3, comma 1, lett. f)-bis, D.L. n. 223 del 2006, secondo cui “le attività commerciali (…) sono svolte senza (…) il divieto o l’ottenimento di autorizzazioni preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l’esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie”.

Quindi se l’attività è un esercizio di vicinato, in linea teorica sarebbe richiesta solo una Scia per variazioni strutturali (ampliamento della superficie di vendita). Nel caso in questione, però, le cose mi sembrano più complicate perché il secondo locale (dove avverrebbe SOLO il consumo sul posto) è di fatto separato e non comunicante con l’esercizio di vendita e quindi - oltre a non avere VENDITA - potrebbe appartenere ad un’unità immobiliare differente ed avere una categoria catastale differente…

Insomma, è possibile che la questione abbia anche aspetti di natura edilizia ed urbanistica da valutare.

Se l’attività è un’impresa artigiana ti sei già risposto da solo. Anche in questo caso, però, non tralascerei di valutare gli aspetti edilizi della “riunione” dei due locali.