No al nazi-fascismo - Una lezione di diritto costituzionale del Consiglio di Stato – Sent. 7687/2024

Il comune di Brescia approva un DGC avente a oggetto indirizzi per il rilascio di concessioni temporanee prevedendo l’obbligo di allegare alla relativa domanda una dichiarazione che contenga, tra l’altro, l’impegno del richiedente «di riconoscersi nei principi e nelle norme della Costituzione italiana e di ripudiare il fascismo e il nazismo».

Un noto movimento politico di ultra destra impugna la delibera. Sia in primo che in secondo grado il ricorso viene respinto. Nell’appello, fra le altre cose, il ricorrente ritiene che la delibera leda le libertà di manifestazione del pensiero, in quanto impone al singolo di esternare le proprie convinzioni personali, e di associazione, perché limita lo svolgimento di attività sociali e politiche negli spazi pubblici.

Fra le considerazioni del CdS, leggiamo:

Nel definire le condizioni cui è subordinata la concessione di questi spazi, l’Amministrazione ben può perseguire l’obiettivo di evitare che essi vengano utilizzati per il perseguimento delle finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, ovvero per la pubblica esaltazione di esponenti, principi, fatti, metodi e finalità antidemocratiche del fascismo – comprese le idee e i metodi razzisti – o ancora per il compimento di manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste.

Si tratta, infatti, di un obiettivo di sicuro interesse pubblico, alla luce di quella che la Corte costituzionale ha definito «l’ispirazione antifascista della nostra Costituzione» (sent. n. 254 del 1974).

Infatti, come pone in luce la dottrina costituzionalistica a larga maggioranza, la matrice antifascista della Costituzione repubblicana emerge tanto dalla sua genesi – in quanto essa è stata elaborata dalle forze che avevano partecipato alla Resistenza, conclusasi con quella “cesura ordinamentale” rappresentata dalla fondazione della Repubblica e dall’avvento del nuovo ordine democratico – quanto soprattutto dalla sua struttura e dal contenuto: le norme e i principi costituzionali – in particolare, il principio lavoristico, quelli di democrazia, solidarietà ed eguaglianza, il riconoscimento dei diritti dell’uomo (anteriori a ogni concessione da parte dello Stato) come singolo e nelle formazioni sociali nonché delle autonomie, pur nell’unità e indivisibilità della Repubblica, la pace e l’apertura alla Comunità internazionale – si pongono (consapevolmente, come emerge anche dai lavori preparatori della Costituente) in chiara discontinuità rispetto a quelli propri del regime precedente, riconoscendo espressamente diritti e libertà che dal fascismo erano stati violati e approntando gli istituti giuridici per garantire loro tutela – non ultimo, prevedendo un controllo di costituzionalità delle leggi.

In tale contesto, il primo comma della XII disposizione, che vieta «la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista», non può ritenersi meramente “transitoria”, ossia destinata a trovare applicazione per un periodo di tempo determinato (com’è, per esempio, il secondo comma), ma, come osservato anche in letteratura, è norma “finale”, in quanto, legandosi all’art. 54, co. 1, Cost. secondo cui «tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica» e all’art. 139 Cost., che sottrae alla revisione costituzionale «la forma repubblicana» (secondo Corte cost., sent. n. 1146 del 1988, da intendersi comprensiva di tutti quei principi che «appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione Italiana» e quindi innanzitutto dei “diritti inviolabili”, su cui si v., tra le più recenti, Corte cost., sent. n. 135 del 2024), rifinisce il disegno costituzionale ponendo una clausola di salvaguardia che – in deroga all’art. 49 Cost. che riconosce il diritto di tutti i cittadini di associarsi liberamente in partiti, nonché agli artt. 17 e 21 che sanciscono le libertà di riunione e di manifestazione del pensiero (sul punto si v. Corte cost., sentt. n. 74 de 1958 e n. 15 del 1973) – è volta a scongiurare un ritorno “sotto qualsiasi forma” del fascismo, che segnerebbe la fine dell’esperienza democratica con essa iniziata e il disconoscimento dei diritti e delle libertà che le sono propri.

A tale disposizione ha dato attuazione legge 20 giugno 1952, n. 645 (c.d. “legge Scelba”), che fornisce a quel bene giuridico definibile come “ordine pubblico democratico e costituzionale” «una tutela anticipata in relazione a manifestazioni che, in connessione con la natura pubblica delle stesse, espressamente richiesta dalla norma, possano essere tali da indurre alla ricostituzione di un partito che, per la sua ideologia antidemocratica, e per espressa previsione appena sopra richiamata, contenuta nella stessa Carta del 1948 (XII, disp. trans. fin. Cost.), è contraria all’assetto costituzionale» (Cass. pen., ss. uu., sent. n. 16153 del 2024).

[…]

Rispetto a tale finalità, l’obbligo posto dalla Giunta del Comune di Brescia non può dirsi sproporzionato, come conduce a ritenere una lettura integrale, e non parcellizzata, della dichiarazione richiesta dall’Amministrazione per la concessione di spazi pubblici, la quale comprende i seguenti impegni: «di riconoscersi nei principi e nelle norme della Costituzione italiana e di ripudiare il fascismo e il nazismo; - di non professare e non fare propaganda di ideologie neofasciste e neonaziste, in contrasto con la Costituzione e la normativa nazionale di attuazione della stessa; - di non perseguire finalità antidemocratiche, esaltando, propagandando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la Costituzione e i suoi valori democratici fondanti; - di non compiere manifestazioni esteriori inneggianti le ideologie fascista e/o nazista».

Vedi il commento di Simone: https://www.youtube.com/watch?v=-DORrj8xz68