Quesito del 30 /11/2023-Rideterminazione importo sanzioni ai sensi dell'art. 16,c.2, l. 689/81

Carissimo Dr. Maccantelli,
non le scrivo per sollecitare una risposta alla mia utima domanda del quesito in oggeto ma solo per sapere se l’ha ricevuta.
Ladomanda era questa:
“Mi scusi Dr, Maccantelli,
stavo esaminando la sua risposta e vorrei chiederle (non essendo in grado di capirlo da solo) perché sono stati richiamati gli artt. 23 e 25 della Costituzione, insomma, che attinenza hanno con il mio quesito?
,Le sarei molto grato se potesse darmi una spiegazione con altrettanta urgenza, in modo che possa completare l’informativa che intendo trasmettere al mio Comandante.
Salutissimi”.

Incollo un pezzo della sentenza della Corte Cost. n. 5/2021. Le sanzioni amministrative, in base agli artt. citati, soggiaccono alla riserva di legge. Solo la legge, e non una atto amminisrrativo, può prevedere il come e il quanto. Essendo una riserva relativa, la legge può predere ipotesi come l’art. 7-bis citato ma la PA, comunque, non può esosribate da quanto indicato dalla legge.

Ecco un passaggio della sentenza:

Va preliminarmente rammentato che, secondo l’ormai costante giurisprudenza di questa Corte, le garanzie discendenti dall’art. 25, secondo comma, Cost. si applicano anche agli illeciti e alle sanzioni amministrative di carattere sostanzialmente punitivo (sentenze n. 134 del 2019, n. 223 del 2018, n. 121 del 2018, n. 68 del 2017, n. 276 del 2016 e n. 104 del 2014), con l’eccezione però della riserva assoluta di legge statale, che vige per il solo diritto penale stricto sensu, come da ultimo precisato dalla sentenza n. 134 del 2019. Tale pronuncia ha altresì ribadito che il potere sanzionatorio amministrativo – che il legislatore regionale ben può esercitare, nelle materie di propria competenza – resta comunque soggetto alla riserva di legge relativa all’art. 23 Cost., intesa qui anche quale legge regionale.

Anche rispetto al diritto sanzionatorio amministrativo – di fonte statale o regionale che sia – si pone, in effetti, un’esigenza di predeterminazione legislativa dei presupposti dell’esercizio del potere sanzionatorio, con riferimento sia alla configurazione della norma di condotta la cui inosservanza è soggetta a sanzione, sia alla tipologia e al quantum della sanzione stessa, sia – ancora – alla struttura di eventuali cause esimenti. E ciò per ragioni analoghe a quelle sottese al principio di legalità che vige per il diritto penale in senso stretto, trattandosi, pure in questo caso, di assicurare al consociato tutela contro possibili abusi da parte della pubblica autorità (sentenza n. 32 del 2020, punto 4.3.1. del Considerato in diritto): abusi che possono radicarsi tanto nell’arbitrario esercizio del potere sanzionatorio, quanto nel suo arbitrario non esercizio.

Questa esigenza è stata, del resto, già posta in evidenza da una risalente pronuncia di questa Corte, che ha altresì ricollegato espressamente la ratio della necessaria «prefissione ex lege di rigorosi criteri di esercizio del potere relativo all’applicazione (o alla non applicazione)» delle sanzioni amministrative al principio di imparzialità dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost., oltre che alla riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. (sentenza n. 447 del 1988).

Tutto ciò impone che a predeterminare i presupposti dell’esercizio del potere sanzionatorio sia l’organo legislativo (statale o regionale), il quale rappresenta l’intero corpo sociale, consentendo anche alle minoranze, nell’ambito di un procedimento pubblico e trasparente, la più ampia partecipazione al processo di formazione della legge (sentenza n. 230 del 2012); mentre tale esigenza non può ritenersi soddisfatta laddove questi presupposti siano nella loro sostanza fissati da un atto amministrativo, sia pure ancora di carattere generale.

È bensì vero che la riserva di legge espressa dall’art. 23 Cost. è intesa quale riserva relativa, che tollera come tale maggiori margini di integrazione da parte di fonti secondarie (così anche la già citata sentenza n. 134 del 2019); ma questa Corte ha già avuto modo di precisare che tale carattere della riserva in questione «non relega […] la legge sullo sfondo, né può costituire giustificazione sufficiente per un rapporto con gli atti amministrativi concreti ridotto al mero richiamo formale ad una prescrizione normativa “in bianco” […], senza una precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell’azione amministrativa limitativa della sfera generale di libertà dei cittadini»; dovendosi anzi riconoscere rango di «principio supremo dello Stato di diritto» all’idea secondo cui i consociati sono tenuti «a sottostare soltanto agli obblighi di fare, di non fare o di dare previsti in via generale dalla legge» (sentenza n. 115 del 2011, e numerosi precedenti ivi richiamati).

Tale principio implica dunque che – laddove la legge rinvii a un successivo provvedimento amministrativo generale o ad un regolamento – sia comunque la legge stessa a definire i criteri direttivi destinati a orientare la discrezionalità dell’amministrazione (sentenza n. 174 del 2017; in senso analogo, sentenze n. 83 del 2015 e n. 435 del 2001). Ciò che non può non valere anche quando la prestazione imposta abbia natura sanzionatoria di una condotta illecita.

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Carissimo Dr. Maccantelli,
grazie infinite per la sentenza che mi ha inviato. Questa mi permette di fugare tutti i dubbi che avevo sulla quatione oggetto del quesito inviatole.
Lei è di grande aiuto per la soluzione dei nostri quotidiani problemi.
Un cordialissimo saluto.