TAR Lazio sentenza n. 9364/2021 – NCC e diritto di stabilimento

T.A.R. Lazio, sede di Roma, sentenza n. 9364/2021 – NCC e diritto di stabilimento

Normativa italiana NCC e diritto di stabilimento del diritto eurounitario.

Il fatto

Un’impresa slovena è regolarmente autorizzata, in Slovenia, ad esercitare il servizio di noleggio auto con conducente. In forza del diritto di stabilimento previsto dagli artt. 49 e ss. del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea apre una sede secondaria in Roma assumendo, alle sue dipendenze, autisti italiani regolarmente iscritti in Italia al ruolo dei conducenti, al fine di poter esercitare l’attività in tale città con proprie autovetture immatricolate in Slovenia ad uso NCC.

La Polizia Municipale interviene e commina la sanzione del sequestro del veicolo immatricolato in Slovenia. Nel verbale di accertamento si legge: “il conducente viene informato che, se entro il termine di 180 giorni il veicolo non viene immatricolato in Italia o non viene richiesto il rilascio di foglio di via per condurlo oltre confine, si applica la confisca amministrativa ai sensi dell’art. 213 CdS”.

L’impresa slovena chiede l’immatricolazione del veicolo ma la Motorizzazione civile respinge l’istanza in quanto, ai sensi dell’art. 85 CdS e della L. 21/1992, l’immatricolazione di un veicolo ad uso NCC può essere effettuata sulla base di un’autorizzazione di esercizio rilasciata da un Comune italiano, mentre tale impresa è titolare di un’autorizzazione NCC slovena.

L’impresa chiede al TAR l’annullamento del provvedimento con il quale è stata respinta l’istanza di immatricolazione. Il giudice amministrativo accoglie il ricorso e annulla l’impugnato diniego.

La motivazione della pronuncia

Il motivo del ricorso è incentrato sul contrasto con il diritto dell’Unione europea e in particolare con l’art. 49 TFUE. Tale diritto è visto come una libertà fondamentale per la quale una società ha il diritto (anche) di aprire una sede secondaria in un Paese dell’Unione europea diverso da quello ove è stata costituita, per poter esercitare lì l’attività che può esercitare in virtù della relativa autorizzazione nello Stato d’origine. Il giudice amministrativo concorda pienamente con la parte ricorrente e dispone la disapplicazione della norma interna nettamente contrastante con il diritto di stabilimento di cui agli artt. 49 e seguenti del TFUE. In particolare, il vaglio di incompatibilità riguarda l’art. 85, comma 3 del CdS ai sensi del quale, la carta di circolazione di un veicolo destinato al servizio di noleggio con conducente, può essere rilasciata unicamente “sulla base di una licenza comunale di esercizio”.

In sintesi, l’articolo 49 TFUE osta alle restrizioni alla libertà di stabilimento, ossia a qualsiasi misura nazionale che possa ostacolare o rendere meno attraente l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione, della libertà di stabilimento garantita dal Trattato FUE. Le restrizioni alla libertà di stabilimento, comunque applicabili senza discriminazioni basate sulla cittadinanza, possono essere giustificate solo da motivi imperativi di interesse generale, a condizione che siano atte a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vadano oltre quanto è necessario per il suo raggiungimento. Una volta riscontrato il palese contrasto di una norma interna con il diritto euro-unitario, questa deve essere disapplicata. L’obbligo di applicare la normativa vincolante e sovraordinata rispetto alle norme interne incompatibili grava su tutti i soggetti dell’ordinamento tenuti a dare esecuzione alle leggi e, quindi, non solo sugli organi giurisdizionali, ma anche sulle autorità amministrative, per cui quei soggetti devono riconoscere come diritto legittimo e vincolante la norma comunitaria, mentre sono tenuti a disapplicare le norme di legge, statali o regionali.

Il Tribunale richiama varie sentenze della Corte di Giustizia e di altri tribunali amministrativi:

  • Sebbene gli Stati membri abbiano il diritto di adottare misure volte ad impedire che, grazie alle possibilità offerte dal trattato, taluni dei loro cittadini tentino di sottrarsi all’impero delle leggi nazionali, nel valutare tali comportamenti i giudici nazionali devono tuttavia tener presenti le finalità perseguite dalle disposizioni comunitarie di cui trattasi. Pertanto, il fatto che un cittadino di uno Stato membro costituisca una società nello Stato membro le cui norme di diritto societario gli sembrino meno severe e crei poi succursali in altri Stati membri non comporta, di per sé, un abuso del diritto di stabilimento. Infatti, il diritto di costituire una società in conformità alla normativa di uno Stato membro e di creare succursali in altri Stati membri è inerente all’esercizio della libertà di stabilimento garantita dal trattato. La circostanza che una società non svolga alcuna attività nello Stato membro in cui essa ha la sede e svolga, invece, le sue attività unicamente nello Stato membro in cui opera la sua succursale non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di un comportamento abusivo e fraudolento, che consenta a quest’ultimo Stato membro di negare a tale società di fruire delle disposizioni comunitarie relative al diritto di stabilimento. (…) Il diniego dell’autorizzazione potrebbe tuttavia essere giustificato da esigenze imperative a condizione, però, che le misure nazionali si applichino in modo non discriminatorio, siano giustificate da motivi imperativi di interesse pubblico, siano proporzionate ed idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non vadano oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo. “ (Corte di Giustizia UE, 9 marzo 1999 n. 212/97).
  • … infatti, occorre ricordare che, secondo una consolidata giurisprudenza della Corte, l’articolo 49 TFUE osta alle restrizioni alla libertà di stabilimento, ossia a qualsiasi misura nazionale che possa ostacolare o rendere meno attraente l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione, della libertà di stabilimento garantita dal Trattato FUE. La nozione di restrizione ricomprende le misure adottate da uno Stato membro che, per quanto indistintamente applicabili, pregiudichino l’accesso al mercato per le imprese di altri Stati membri, ostacolando in tal modo il commercio in seno all’Unione”. Contestualmente la Corte ha ribadito che “72 Infatti, in conformità a una consolidata giurisprudenza della Corte, le restrizioni alla libertà di stabilimento, che siano applicabili senza discriminazioni basate sulla cittadinanza, possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale, a condizione che siano atte a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vadano oltre quanto è necessario per il suo raggiungimento (v., in tal senso, sentenza Ottica New Line di Accardi Vincenzo, C-539/11, EU:C:2013:591, punto 33 e la giurisprudenza ivi citata).” (Corte di Giustizia 11 ottobre 2015, n. 168).
  • La libertà di stabilimento, che l’articolo 49 TFUE attribuisce ai cittadini dell’Unione, implica per essi l’accesso alle attività autonome ed il loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese, alle stesse condizioni previste dalle leggi dello Stato membro di stabilimento per i propri cittadini. Essa comprende, conformemente all’articolo 54 TFUE, per le società costituite a norma delle leggi di uno Stato membro e che abbiano la sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede principale all’interno dell’Unione, il diritto di svolgere la loro attività nello Stato membro di cui trattasi mediante una controllata, una succursale o un’agenzia”. Il principio di diritto ora riportato è stato completato e concluso sancendo che “ammettere che lo Stato membro di residenza possa liberamente riservare un trattamento diverso per il solo fatto che la sede di una società si trovi in un altro Stato membro svuoterebbe di contenuto l’articolo 49 TFUE.”. (Corte giustizia UE sez. II - 14/05/2020, n. 749).
  • Le norme del diritto interno vanno disapplicate nella parte e nella misura in cui si trovino in conflitto con le disposizioni e i principi dell’ordinamento comunitario in forza della preminenza del diritto dell’Unione Europea. L’obbligo di applicare la normativa vincolante e sovraordinata rispetto alle norme interne incompatibili grava su tutti i soggetti dell’ordinamento tenuti a dare esecuzione alle leggi e, quindi, non solo sugli organi giurisdizionali, ma anche sulle autorità amministrative, per cui quei soggetti devono riconoscere come diritto legittimo e vincolante la norma comunitaria, mentre sono tenuti a disapplicare le norme di legge, statali o regionali.” (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 06/07/2016, n.3394). Ancora: “Anche in difetto di una specifica domanda di parte il giudice deve disapplicare le normative interne contrastanti con il diritto comunitario. Tale obbligo, processualmente, si traduce infatti in un riflesso del principio iura novit curia.” (T.A.R., Toscana, sez. I , 19/03/2013 , n. 422)
  • In base al principio generale sancito dall’art. 2697 c.c., ai fini del risarcimento dei danni provocati dall’illegittimo esercizio del potere amministrativo, il ricorrente deve fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendosi invocare il principio acquisitivo, perché tale principio attiene allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti. L’azione risarcitoria innanzi al Giudice Amministrativo non è retta dal principio dispositivo con metodo acquisitivo, tipica del processo impugnatorio, bensì dal generale principio dell’onere della prova ex art. 2697 c.c. e 115 c.p.c., per cui sulla ricorrente grava l’onere di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda al fine di ottenere il riconoscimento di una responsabilità dell’Amministrazione per i danni derivanti dall’illegittimo ed omesso svolgimento dell’attività amministrativa di stampo autoritativo.” (T.A.R., Lazio – Roma, Sez. I, 10 novembre 2020, n.11611).

La sentenza: 20210829-NCC-TarLazio.pdf (214,8 KB)

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