Acconciatore presso RSA senza sede fissa

Buongiorno,
Vorrei porre un quesito su una richiesta arrivata nel nostro ufficio suap (Provincia di Firenze):
Una signora titolare di un negozio di acconciatore, vorrebbe chiudere l’attività in sede fissa ma mantenere aperta la sua P.IVA per poter andare a fare servizio a domicilio presso una struttura RSA.
Analizzando la legge regionale in materia n.29/2013, ho trovato i seguenti commi che riguardano la fattispecie:
3.Le imprese titolate all’esercizio dell’attività di acconciatore in sede fissa possono esercitare l’attività
anche presso la sede designata dal cliente in caso di sua malattia o altro impedimento fisico oppure, nel
caso in cui il cliente sia impegnato in attività sportive, in manifestazioni legate alla moda o allo spettacolo
o in occasione di cerimonie o di particolari eventi fieristici o promozionali.
4.È fatta salva la possibilità di esercitare l’attività di acconciatore nei luoghi di cura o di riabilitazione, di
detenzione e nelle caserme o in altri luoghi per i quali siano stipulate convenzioni con i relativi soggetti
pubblici.
Vorrei dunque essere certo se, chiudendo l’attività in sede fissa, si perde o meno la possibilità di esercitare l’attività di acconciatore anche in una RSA e, nel caso si possa fare, a quali adempimenti è chiamato il richiedente.
Grazie in anticipo e buona giornata a tutti.

Taluni, comprese le associazioni di categoria, in modo immotivato, affermano che prima occorre una sede fissa e poi, solo come attività accessoria, è possibile anche sganciarsi da quella sede per recarsi al domicilio del cliente. A parere mio non è così. Sul vecchio forum la questione è stata dibattuta molto.

Cerco di fornire una chiave di lettura generale così la riuso in questo forum :slight_smile: A parere mio, l’attività di acconciatore a domicilio è consentita senza la necessità di avere anche una sede fissa. Tuttavia, è bene interloquire anche con la CCIAA per verificare le sue convinzioni.

La legge 174/2005 dispone:

3. L’attività di acconciatore può essere svolta anche presso il domicilio dell’esercente oppure PRESSO LA SEDE DESIGNATA DAL CLIENTE, nel rispetto dei criteri stabiliti dalle leggi e dai regolamenti regionali. È fatta salva la possibilità di esercitare l’attività di acconciatore nei luoghi di cura o di riabilitazione, di detenzione e nelle caserme o in altri luoghi per i quali siano stipulate convenzioni con pubbliche amministrazioni.

4. Non è ammesso lo svolgimento dell’attività di acconciatore in forma ambulante o di posteggio.

La legge vieta espressamente l’attività itinerante o su posteggio, quindi su area pubblica in modo girovago. L’attività al domicilio è ammessa in modo esplicito. Questa può essere intesa anche come modo di attività esclusivo (solo al domicilio)? La risposta è sì.

ALLA LUCE DELLA NORMATIVA CITATA NON SI RILEVANO ESPLICITI DIVIETI PER IL SOLO ESERCIZIO AL DOMICILIO.

Si può vedere la legge 443/85: L’impresa artigiana può svolgersi in luogo fisso, presso l’abitazione dell’imprenditore o di uno dei soci o in appositi locali o IN ALTRA SEDE DESIGNATA DAL COMMITTENTE oppure in forma ambulante o di posteggio. In ogni caso, l’imprenditore artigiano può essere titolare di una sola impresa artigiana.

Resta inteso che si dovrà garantire condizioni igienico-sanitarie oggettive, avere i requisiti professionali previsti dalla legge e presentare una SCIA al comune dove si trova la sede legale.

È utile rammentare alcune norme del periodo 2010/2012. Alla luce di queste norme l’attività della pubblica amministrazione deve, sicuramente, essere ripensata in funzione della tutela della concorrenza intesa come massimizzazione delle possibilità di esercizio degli operatori economici: divieti di esercizio di attività devono essere previsti in modo esplicito dalla legge e devono essere motivati in base esigenze rilevanti di interesse generale: tutela della sicurezza pubblica, della salute pubblica ecc.

Fra la normativa più calzante, sono da citare:

  • Il d.lgs. n. 59/2010 “Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno” (la c.d detta direttiva Bolkestein);

  • Il decreto-legge n. 138/2011 “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo” (si veda soprattutto l’art. 3);

  • Il decreto-legge n. 201/2011 “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici” (si veda soprattutto l’art. 31 e 34);

  • Il decreto-legge n. 1/2012 “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività” (veda soprattutto art. 1);

In sintesi, è legittimamente esercitabile tutto ciò che non trova esplicito divieto o comunque non è sottoposto a esplicita condizione abilitativa in base ad una norma avente valore di legge. Solo la legge o una norma avente maggiore o uguale valore gerarchico può prevedere delle forme di controllo o inibizione all’esercizio di attività economiche. Una norma regolamentare (comunale o di altro soggetto pubblico), di per sé non è giuridicamente sufficiente a imporre divieti o condizioni in modo autonomo o difforme rispetto a una norma di rango legislativo. Là dove una norma avente valore di legge imponga un divieto questo deve essere motivato da esigenze aventi un notevole valore di interesse generale, come ad esempio, i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, la tutela dei principi fondamentali della Costituzione, la salvaguardia della sicurezza, della libertà, della dignità umana, della salute pubblica.

Ogni disposizione recante divieti, restrizioni, oneri o condizioni all’esercizio / accesso delle attività produttive è, in ogni caso, interpretata ed applicata in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle finalità di interesse pubblico generale. In altre parole, non è legittimo, da parte di una PA, imporre divieti o restrizioni, per analogia, ad attività genericamente riconducibili a quella per la quale sussistono divieti legali oppure in modo deduttivo/arbitrario.

procedere in modo ragionevole correlato con l’effettiva tutela dell’interesse pubblico.

Citiamo una delle tante sentenze dell’epoca (TAR Lombardia n. 2271/2013):

La direttiva Bolkestein ha profondamente inciso sullo statuto delle libertà economiche rispetto alle quali, in passato, l’art. 41 Cost. ha costituito un assai debole presidio, consentendo che il loro esercizio potesse essere incondizionatamente subordinato nell’an e nel quomodo a qualunque tipo interesse pubblico assunto dal legislatore (ed a cascata dalla p.a.) ad oggetto di tutela.

La normativa comunitaria prevede, invece, che l’iniziativa economica non possa, di regola, essere assoggettata ad autorizzazioni e limitazioni (specie se dirette al governo autoritativo del rapporto fra domanda ed offerta), essendo ciò consentito solo qualora sussistano motivi imperativi di interesse generale rientranti nel catalogo formulato dalla Corte di Giustizia. La medesima normativa stabilisce, inoltre, che, anche qualora sussistano valide ragioni per adottare misure restrittive della libertà d’impresa, queste debbano essere adeguate e proporzionate agli obiettivi perseguiti.

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