le integrazioni (in senso stretto) hanno senso nell’ambito di un procedimento autorizzatorio. La PA deve comprendere meglio oppure il privato non ha allegato qualcosa che doveva. In questo senso, la PA chiede le integrazioni e sospende i termini. I termini ripartono da dove si sono stroppati quando il privato presenta quanto richiesto. vedi art. 2, comma 7 della legge 241/90.
Nella SCIA occorre attenzione. Come ho già detto, la giurisprudenza dominante vuole che il termine dei 60 gg sia perentorio e non sospendibile. Il privato ha già iniziato l’attività e la PA ha solo 60 gg (30 in edilizia) per adottare un eventuale provvedimento repressivo. In questo lasso di tempo deve arrivare a capire se il privato (soggetto/oggetto) ha i requisiti previsti dalla legge. Se la SCIA è incompleta, allora meglio dichiararla irricevibile.
Se la PA comprende che il soggetto o il luogo non ha i requisiti, adotta un provvedimento repressivo (ordine di conformazione) entro i 60 gg dalla presentazione. Qua si aggancia la casistica di cui sopra. In questo caso non sono integrazioni nel senso tecnico del termine ma sono documenti atti a dimostrare l’adeguamento ordinato dalla PA.
TAR veneto n. 958/2015
Anzitutto risulta del tutto illegittimo e contrario alla norma, nonché alla sua ratio, disporre una sospensione del termine previsto dalla legge per l’acquisizione dei pareri interni degli uffici competenti; il termine complessivo di 60 giorni è quello ritenuto congruo dal legislatore per l’adozione dell’atto terminale, del tutto eventuale, non essendo richiesto che l’amministrazione adotti un provvedimento a fronte di una segnalazione che, recuperando il significato e la previsione contenuta nell’originario articolo 19 della legge numero 241 del 1990, consente la cosiddetta immediata intrapresa dell’attività e che va qualificata come atto di un soggetto privato.
Parimenti non trova spazio nella costruzione del procedimento sulla scia il cosiddetto preavviso di diniego, recato dall’articolo 10 bis della legge numero 241 del 1990, attesane la non compatibilità sotto il profilo temporale, non risultando accettabile all’ordinamento la produzione di un effetto interruttivo nel caso di procedimento che ritrova nell’accelerazione temporale una delle proprie ragion d’essere.